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Didascalie

In alto: foto del re Vittorio Emanuele III
In basso: il capo di Stato Maggiore del Regio Esercito Armando Diaz

Note

1 - In un primo momento, i nazionalisti italiani di Enrico Corradini erano favorevoli a dichiarare guerra alle potenze dell'Intesa ma ben presto cambiarono idea quando si resero conto che combattere a fianco della Francia e dell'Inghilterra sarebbe stato più vantaggioso in termini acquisizioni territoriali al tavolo della pace.

2 – Il Patto di Londra prevedeva che l'Italia avrebbe dichiarato guerra a Vienna entro un mese dalla firma dell'accordo. A spingere Roma in questa direzione contribuirono le clausole che prevedevano, in caso di vittoria, l'acquisizione del Trentino, del Sud Tirolo, della Venezia Giulia, dell'Istria e parte della costa dalmata. La dichiarazione di guerra alla Germania venne consegnata solo nel 1916.

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L'Europa e il primo conflitto mondiale

L’attentato di Saraievo

Vittorio Emanuele III Il 24 giugno del 1914 l'erede al trono degli Asburgo, l'arciduca Francesco Ferdinando fu ucciso a Saraievo in un attentato compiuto da nazionalisti serbi. Dopo che Vienna ebbe inviato a Belgrado un ultimatum irricevibile, il 28 luglio dichiarò guerra al paese balcanico. Per un perverso gioco di alleanze, immediatamente vennero mobilitati gli eserciti della Russia, che si mosse perché alleata della Serbia, della Germania che interpretò la decisione di San Pietroburgo come un atto ostile e della Francia contro i tedeschi perché, a sua volta, alleata dell'Impero Russo.
L'Inghilterra dichiarò guerra alla Germania solo dopo che questa aveva invaso il Belgio con l'intenzione di puntare su Parigi. E l'Italia? Il regno di Vittorio Emanuele III era, in quel momento storico, ancora formalmente legato alla Germania e all'Austria per il trattato della “Triplice Alleanza”. Ma, visto che era stata Vienna a dichiarare guerra alla Serbia, Roma ritenne violata la clausola che le imponeva di intervenire a supporto dell'alleato in pericolo e, pertanto, si ritenne libera da impegni formali e dichiarò la propria neutralità.

Nel paese, fin dalle prime settimane di guerra, si andarono via via organizzando due schieramenti contrapposti che, a loro volta, erano animati da ideali distinti. Tra gli interventisti c'era chi spingeva per un'alleanza con l'Intesa (Francia, Russia e Impero Britannico) in veste irredentista, mentre altri spinsero per rispettare l'alleanza con gli Imperi Centrali (1).
Sul fronte opposto troviamo i socialisti, con l'unica eccezione di rilievo rappresentata dal direttore del giornale di partito “L'Avanti”, Benito Mussolini e dei cattolici rappresentati da Benedetto XV. Il 26 aprile del 1915 Salandra e Sonnino, a conclusione di estenuanti trattative con i due blocchi belligeranti, decisero di firmare il “Patto di Londra” che impegnava il Regno d'Italia ad intervenire in guerra a fianco dei paesi dell'Intesa contro l'Austria (2).

L'Europa in guerra

Il capo di Stato Maggiore Armando Diaz La guerra, che tutti avevano previsto di breve durata e di estensione limitata, fu, invece lunga e sanguinosa. Gli eserciti si trovarono subito impantanati in un conflitto di posizione fatto di trincee e fortificazioni che richiese un contributo di vite umane mai visto fin ad allora.
La nuova tecnologia militare, costituita da mitragliatrici, aereonautica, carri armati e artiglieria pesante aveva sconvolto le strategie consolidate da decine di battaglie ottocentesche e fiaccato il morale delle truppe che si vedevano mandate inutilmente al massacro.

Gli alti comandi degli eserciti in lotta si resero ben presto conto dell'importanza della disciplina e della tenuta psicologica dei soldati. Gli italiani ne ebbero una prova eclatante con la disfatta di Caporetto quando il 24 ottobre del 1917, le truppe tedesche sfondarono il fronte dell'alto Isonzo e penetrarono, senza incontrare resistenza, fini alla linea del Piave con l'esercito italiano allo sbando.
Lo sfondamento di Caporetto rappresentò per l'Italia intera un trauma senza precedenti che, tuttavia, ebbe un effetto benefico sul paese. L'esercito venne completamente riorganizzato dai nuovi comandi, la società tutta rinserrò le proprie fila e la classe dirigente riuscì ad assicurare un nuovo corso alla guerra che gettò le basi per l'offensiva di Vittorio Veneto fino al crollo finale degli Imperi Centrali avvenuto nel novembre del 1918.

Il “dopoguerra” italiano

La fine del primo conflitto mondiale aveva lasciato l'Europa completamente prostrata con una società da ricostruire e un'economia da riconvertire agli usi civili. In Italia le conseguenze dell'armistizio non furono certo diverse. Il disagio dei reduci e del resto della popolazione era aggravato dal dissesto finanziario delle finanze pubbliche oberate dalle spese militari e dall'inflazione. Il mondo del lavoro era cambiato grazie all'emancipazione femminile che aveva portato le donne ad occupare i posti di lavoro lasciati liberi dai richiamati alle armi e dalla trasformazione dell'apparato industriale per soddisfare le esigenze belliche. Anche la politica era cambiata: nel dopoguerra si assistette alla strutturazione definitiva dei partiti di massa e delle organizzazioni sindacali nonché dalle associazioni combattentistiche che volevano far valere, da civili, i sacrifici fatti in trincea. In altre parole, l'Italia del 1918 e dei primi anni '20era un paese completamente diverso da quello del 1915; un paese che avrebbe ben presto preso un'altra direzione.

Bibliografia

Cammarano F., “Storia dell’Italia liberale”, Editori Laterza, Roma-Bari 2011.

Duggan, C., “La forza del destino. Storia dell’Italia dal 1796 ad oggi”, Editori Laterza, Roma-Bari 2007.

Mack Smith D., “Storia d’Italia dal 1861 al 1997”, Editori Laterza, Roma-Bari 2010.

Sabatucci G., Vidotto V., “Il mondo contemporaneo dal 1848 ad oggi”, Editori Laterza, Roma-Bari 2005.

Per approfondire

Logo giornale La notizia dell'attentato su "La Stampa". (Consulta...)

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