Da Terzaclasse.it

Didascalie

La rete ferroviaria del Regno d'Italia subito dopo l'unificazione del Paese.

Note

1 – Leopoldo Galeotti, “La prima legislatura del Regno d’Italia. Studi e ricordi”, Le Monnier, Firenze 1865.

2 – Marco Minghetti presentò il 13 marzo 1861 un progetto di riforma amministrativa dello Stato che prevedeva un parziale decentramento delle attribuzioni di alcuni ministeri che sarebbero state prese in carico dalle provincie. Il progetto non fu mai nemmeno discusso nelle aule parlamentari.

3 – Dirompente in tal senso fu l’imposizione di una tassa sulla macinazione delle granaglie (c.d. “tassa sul macinato” – Legge 7 luglio 1868, n. 4490) che incideva in maniera sostanziale sul bilancio delle famiglie italiane in quanto colpiva gli alimenti principali delle classi popolari.

Nel sito


Visita il sito con un dispositivo "Mobile"

L'Italia liberale

L'Italia postunitaria

Lo stato del Paese

All’alba del 17 marzo 1861, giorno in cui a Torino fu proclamata la nascita del Regno d’Italia, furono ben pochi i sudditi del nuovo Stato che ebbero piena coscienza di cosa stava accadendo. Il paese era stato appena unificato e la realtà economica e sociale non era delle più rosee.
La classe dirigente italiana si trovò, così, a governare un paese di quasi 22 milioni di abitanti (su una popolazione “geografica” di circa 27 milioni di persone, compreso il Veneto, il Trentino e ciò che rimaneva dello Stato Pontificio ancora di pertinenza papale) che vivevano in condizioni economiche e sociali più disparate e distanti tra loro. Un terzo della popolazione (circa 5.492.000 persone) risiedeva in centri urbani mentre il resto (ovvero 16.285.000) abitava in piccoli agglomerati di poche centinaia di persone o in alloggi rurali o in fattorie isolate. Il 70% dei sudditi era impegnato in attività agricole; il 18% nell’industria e nell’artigianato e solo il 12 % nel terziario (1). Nell’Italia settentrionale, accanto ai tradizionali appezzamenti di terreno parcellizzati e poco produttivi, presenti soprattutto in contesti montuosi e collinari, vi erano moderne e fiorenti aziende agricole che impiegavano mezzi meccanici e manodopera salariata. Nel resto del paese erano attestati la mezzadria (regioni centrosettentrionali) e il latifondo (soprattutto nelle campagne meridionali e in Sicilia).

La realtà industriale era altrettanto disomogenea o non ancora pienamente sviluppata: solo alcune grandi realtà urbane del nord Italia potevano contare su poli industriali di una certa importanza e strutturazione. La rete ferroviaria nel 1860 Di contro, le realtà produttive dei vecchi stati preunitari, e soprattutto quelle dello stato borbonico, non erano state in grado di reggere alla concorrenza dettata dalle leggi del mercato liberale o non erano state favorite dalla politica industriale dei primi governi di Vittorio Emanuele II. Per quanto riguarda l’aspetto legato alle infrastrutture e all’organizzazione dello Stato, l’Italia del 1861 si presentava carente sotto molti aspetti: la rete ferroviaria poteva contare su circa 3000 km di strade ferrate, dislocate soprattutto nelle regioni settentrionali del paese. La rete viaria era parcellizzata e non assicurava un adeguato collegamento tra le varie zone del vasto territorio. Il funzionamento dello Stato, poi, era fortemente condizionato dalle disparità normative, fiscali e amministrative, lascito degli apparati statali preunitari.

La classe dirigente del Paese

La classe dirigente dell’Italia postunitara, a cui potevano essere ricondotti esponenti politici di formazione risorgimentale, era costituita soprattutto da nobili, avvocati, grandi prorprietari terrieri, industriali e militari. La quasi totalità dei suoi esponenti professava convinte idee liberalie provenivano dalle elites del vecchio regno sabaudo, della Toscana, della Lombardia e degli ex territori dello stato pontificio già annessi dai Savoia. Divisi in due schieramenti politici, la Destra e la Sinistra, tali compagini presentavano evidenti affinità di pensiero che li rendevano organici al sistema monarchico anche se a sinistra non mancarono aspirazioni democratiche e repubblicane. I governi dell’Italia postunitaria affrontarono con energia e rigore i problemi del paese. In primo luogo venne adottato un modello di stato centralista di stampo francese in luogo di un’auspicato ma parziale decentramento amministrativo (2): una amministrazione centrale, secondo i più, avrebbe garantito una maggiore omogeneità e compattezza delle istituzioni e avrebbe consentito di attuare una gestione paternalistica e didattica dei rapporti con i sudditi.

Ben presto vennero emanate leggi “unitarie” riguardanti la leva obbligatoria (Legge 26 maggio 1861, n. 35 e legge 13 luglio 1862, n. 696); l’amministrazione centrale dello stato e dei comuni (Legge 20 marzo 1865, n. 2248) e della giustizia (Legge 2 aprile 1865, n. 2215). Il cambiamento economico e sociale che investì le popolazioni italiane agli inizi degli anni sessanta, e soprattutto gli ex sudditi del Regno delle due Sicilie, non fu di poco conto: la nuova entità statale impose una politica fiscale finalizzata a ripianare gli esorbitanti costi della riunificazione (3) e nuovi doveri per i sudditi (leva obbligatoria). La perdita di sicuri riferimenti causarono nella società una violenta crisi di rigetto che fu assorbita con difficoltà (se effettivamente lo fu) nel corso degli anni successivi. Subito dopo l’unificazione le provincie meridionali furono investite da movimenti di protesta che spesso si trasformarono in atti di resistenza armata.

Questa fase della storia patria fu identificata con il termine brigantaggio per darle una connotazione meno “politica”. Accanto a vere e proprie bande di briganti che taglieggiarono le contrade meridionali portando morte e distruzione, operarono formazioni armate composte da ex militari provenienti dalle file del disciolto esercito borbonico che non accettarono lo stato di fatto rappresentato dal nuovo stato e lo combatterono con ferocia e ostinazione. Il fenomeno del brigantaggio fu sicuramente fomentato e sostenuto dal sovrano deposto, che aveva trovato rifugio entro i confini dello Stato Pontificio, e appoggiato dal Papa stesso che certo non era favorevole al regno di Vittorio Emanuele II. La lotta al brigantaggio, in pratica quasi una guerra di occupazione, impegnò per anni il Regio Esercito che riuscì ad avere ragione dei rivoltosi grazie all’impiego di 120.000 uomini e all’applicazione di norme giuridiche draconiane appositamente emanate (c.d. legge “Pica”: Legge 15 agosto 1863, n. 1409).

Bibliografia

Cammarano F., “Storia dell’Italia liberale”, Editori Laterza, Roma-Bari 2011.

Duggan, C., “La forza del destino. Storia dell’Italia dal 1796 ad oggi”, Editori Laterza, Roma-Bari 2007.

Galeotti L., “La prima legislatura del Regno d’Italia. Studi e ricordi”, Le Monnier, Firenze 1865.

Mack Smith D., “Storia d’Italia dal 1861 al 1997”, Editori Laterza, Roma-Bari 2010.

Sabatucci G., Vidotto V., “Il mondo contemporaneo dal 1848 ad oggi”, Editori Laterza, Roma-Bari 2005.

Per approfondire

Legge "Pica" sul brigantaggio. (Consulta...)

Legge sull'"Unificazione amministrativa". (Consulta...)

Legge sull'"Unificazione legislativa". (Consulta...)

Legge sul "Macinato". (Consulta...)

Copyright: Terzaclasse.it 2013