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in alto: Giovanni Giolitti ebbe un ruolo centrale nello scandalo della Banca Romana.
in basso: il possedimento italiano della baia di Assab.

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L'Italia coloniale - Prima parte

Lo scacco di Tunisi

Francesco Crispi La politica coloniale italiana nel bacino del Mediterraneo (e in seguito nel Corno d’Africa) trova le sue premesse storiche e sociali a partire dalla prima metà del XIX secolo. Già in questo periodo, lungo le coste meridionali del Mediterraneo erano presenti vasti stanziamenti di genti provenienti dalla penisola italiana. Importanti in tal senso erano le colonie italiane di Tunisi, di Alessandria d’Egitto e del Cairo che arrivarono a contare, ognuna, diverse decine di migliaia di persone. Una presenza così importante di italiani favorì una loro profonda penetrazione nella società e nella cultura dei paesi ospiti tanto che molti nostri connazionali furono in grado di collocarsi ai vertici delle elites politiche e commerciali (e a volte anche militari) di Egitto e Tunisia. La reale dimensione di questo processo storico è testimoniata, inoltre, dal grado di diffusione della lingua italiana in questi paesi dove tale idioma divenne la lingua ufficiale delle transazioni commerciali oltre che dei documenti di stato e diplomatici.
Questa posizione di indiscusso prestigio culturale non valse, al nascente Stato unitario italiano, alcun beneficio pratico nell’attuazione della sua politica di espansione coloniale. Mancarono in tal senso una chiara  ed univoca visione strategica dei propri interessi nel bacino del Mediterraneo tanto che furono, ad esempio, sottovalutate, in un primo momento, l’importanza commerciale e soprattutto militare della Tunisia oltre che dell’arcipelago Maltese. Esemplare, infatti, fu proprio il caso della Tunisia: in un primo momento il paese nord africano rientrava chiaramente nelle mire espansionistiche dell’Italia tanto che nel 1864 si era giunti a concordare con la Francia una proposta di spartizione territoriale in ragione della notevole presenza, nell’entroterra di Tunisi, di coloni italiani, in prevalenza originari della Sicilia.
L’iniziale entusiasmo fu presto raffreddato dalla considerazione che un’eventuale campagna di occupazione coloniale della Tunisia sarebbe stata troppo gravosa per le esangui casse del nuovo stato unitario già “alleggerite” dai costi militari e civili che la recente unificazione territoriale e politica della penisola avevano comportato. Si preferì a questo punto puntare più su di una penetrazione economica confidando sul fatto che la Francia, in difficoltà nell’imporre il suo controllo sull’Algeria, avesse rinunciato alle mire coloniali su Tunisi.

Certo, in questo scenario, va anche tenuto conto che, in politica estera, l’Italia fu costretta a competere, ancora potenza europea di minor peso politico e militare, con forze di ben altro spessore: da una parte la Francia che si trovava in piena espansione militare nel nord Africa; dall’altra l’Inghilterra che iniziava ad esplicitare le sue mire espansionistiche in Medio Oriente e, soprattutto, in Egitto dove era chiara l’intenzione di porre sotto il suo diretto controllo quella fondamentale via di comunicazione rappresentata dal canale di Suez: una vitale via di comunicazione (inaugurata nel novembre del 1869) che permetteva alla Corona Britannica di essere in diretto contatto con i suoi vasti possedimenti in Estremo Oriente.
Per un’adeguata comprensione dello scacchiere politico-militare del Mediterraneo in questo particolare frangente non va sottovalutato, infine, il ruolo che ha avuto l’Impero Austroungarico. Pur non ponendosi in diretta competizione con le altre potenze europee nella corsa alla colonizzazione dei territori del nord Africa, Vienna non mancò di esercitare la sua influenza per orientare le decisioni e le alleanze delle altre nazioni del continente. Paradigmatica, in questo senso fu l’azione di disturbo che l’Austria mise in atto nei confronti dell’Italia e della Francia durante il pieno svolgimento dell’affaire Tunisia per spingere lo Stato sabaudo a proclamare il suo protettorato su Tunisi. Lo scopo che ci si proponeva era duplice: in primo luogo si voleva ottenere di accentuare i contrasti tra Roma e Parigi per favorire, di contro, un possibile riavvicinamento dell’Italia agli imperi centrali oltre a cercare di sopire le sue rivendicazioni irredentistiche nei confronti dell’Austria.

L'Italia rivolge le sue mire espansionistiche al mar Rosso

Il possedimento di Assab Il fallimento della politica coloniale nel Mediterraneo costrinse l’Italia, ancora in cerca del suo prestigio internazionale, a rivedere le sue mire espansionistiche ripiegando su territori che, pur essendo meno “appetibili” sia dal punto di vista commerciale che da quello militare, le consentissero, comunque, di poter essere presente nel club delle potenze coloniali europee.
Già dal 1869 gli interessi italiani erano presenti in Africa orientale grazie all’insediamento commerciale della baia di Assab (posto sulle coste eritree del mar Rosso) i cui diritti di sfruttamento erano stati acquistati dalla società di navigazione Rubattino che vi aveva impiantato uno scalo tecnico per le proprie rotte commerciali. Nel 1882 il Governo rilevò la concessione sulla baia di Assab dall’armatore genovese sancendone la sovranità italiana: era l’atto di nascita della lunga e sofferta avventura coloniale italiana nel Corno d’Africa.
Quasi immediatamente si manifestò l’esigenza di ampliare questo primo possedimento territoriale per rafforzare la presenza italiana nell’area. L’occasione si presentò nel 1885 quando l’Egitto ritirò la sua guarnigione dal porto di Massaua (posto a poco più di 200 chilometri a nord di Assab, sempre sulla costa eritrea del mar Rosso) che fu prontamente occupato da un corpo di spedizione italiano. Questa limitata presenza coloniale in Africa non fu sufficiente a soddisfare la crescente voglia (nelle elites culturali, economiche e militari del paese) di prestigio internazionale dell’Italia.
Questa pressione politica e sociale fu, probabilmente, la causa che portò alla decisione di ampliare i propri possedimenti coloniali in Africa orientale indirizzando le truppe verso l’interno del paese, partendo dal presupposto che l’area costiera era poco favorevole ad uno stanziamento coloniale per motivi climatici ed ambientali. La decisione di agire per via militare fu presa in fretta e senza tenere in debita considerazione le legittime rivendicazioni territoriali delle popolazioni locali.
Nel gennaio del 1887 una colonna composta da 500 uomini comandati dal colonnello De Cristoforis fu annientata, a Dogali, dalle truppe irregolari del ras Alula mentre era in marcia per raggiungere l’interno del paese. Il grave smacco militare ebbe una grossa risonanza in Italia e costrinse il Governo (e l’allora Presidente del consiglio Agostino Depretis) ad aumentare l’impegno del paese in Etiopia fino ad arrivare ad appoggiare sia economicamente che militarmente (con il successivo governo Crispi che, nel frattempo era succeduto a Depretis) ras Menelik II: un importante e ambizioso capo locale che tramava per spodestare il legittimo sovrano etiope, il negus Giovanni, che, da li a poco, era destinato ad essere ucciso dai dervisci, nel 1889. La successione al trono di Menelik, memore dell’appoggio italiano, favorì la firma di un accordo politico tra il Regno d’Italia e l’Impero etiopico.  

Il testo fu siglato il 5 maggio 1889 ad Uccialli (l’odierna Wuchale, nel nord dell’Etiopia). Il documento, redatto sia in lingua amarica che in lingua italiana conteneva delle differenze sostanziali in quanto non sussisteva la totale corrispondenza formale tra le due versioni, fatto questo, che diede adito, in seguito, a gravi fraintendimenti tra i due paesi. Il Governo italiano interpretò la stipula del trattato (e, in particolare, quello che sanciva il testo dell’articolo 17) come il tacito riconoscimento, da parte etiopica, di un protettorato dell’Italia sul paese africano, mentre il negus Menelik vi leggeva un semplice appoggio alla sua politica estera e una protezione della sua persona da parte del Regno sabaudo. Nei mesi successivi l’Italia, fiduciosa delle proprie ragioni, riprese a spingersi verso l’interno fino a giungere ad occupare l’area di Asmara.
In seguito la pressione militare continuò e vennero posti sotto il controllo italiano ampi territori del Tigrai e l’abitato di Adua.
Questa politica espansionistica portò ad una energica reazione da parte delle popolazioni etiopiche che contrastarono le truppe italiane in diversi scontri e qualche scaramuccia di poco conto. Il più importante di questi scontri si verificò all’Amba Alagi dove il grosso delle forze locali ebbe il sopravvento su reparti avanzati delle truppe italiane. Questa pur modesta sconfitta (un campanello d’allarme per le gerarchie militari italiane) non insegnò nulla tanto che in un successivo scontro, di ben altre dimensioni per il coinvolgimento di un gran numero di uomini e mezzi e per l’importanza delle successive conseguenze che ebbe nella società italiana, l’esercito italiano subì quella che a posteriori fu definita una delle più grosse sconfitte coloniali mai inflitte a truppe coloniali europee: si trattava della sconfitta di Adua (presso la località di Abba Garima) che vide l’Italia lasciare sul terreno migliaia di propri soldati uccisi in combattimento. La cocente sconfitta, una vera e propria disfatta militare, fu dovuta ad incomprensioni e ripicche maturate in seno allo Stato Maggiore italiano, alla colpevole sottovalutazione delle forze in campo da parte dei comandanti ad una serie di direttive politiche contraddittorie giunte da Roma  e dettate, in larga misura, dalla smania di successi militari da parte del Presidente del Consiglio Crispi.
Il tracollo militare ebbe una vasta eco nella società italiana del tempo: in primo luogo si accesero faide tra gli alti comandi militari con un susseguirsi di accuse reciproche, in secondo luogo, a livello ministeriale, la sconfitta segnò la fine politica di Crispi che aveva fortemente voluto e finanziato da Presidente del consiglio, l’avventura Africana e, infine, costrinse l’Italia ad un umiliante disimpegno militare in Abissinia tanto da giungere ad accettare la sottoscrizione del trattato di Addis Abeba (26 ottobre 1896) dove veniva riconosciuta l’indipendenza del paese africano

Bibliografia

Del Boca A., “Gli italiani in Africa orientale - vol. 1”, Mondadori, 1999.

Per approfondire

Primo contratto di acquisto della baia di Assab. (Consulta...)
Articolo de "La Tribuna" sulla spedizione ad Assab. (Consulta...)
R. Decreto che formalizzò la "Colonia Eritrea". (Consulta...)
Testo del c.d. trattato di Uccialli. (Consulta...)

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