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Didascalie

In alto: stampa d'epoca che illustra il drammatico naufragio del piroscafo "Utopia";
Al centro: immagine della corazzata "Anson";
In basso: il relitto del piroscafo "Utopia" affondato nella baia di Gibilterra.

Note

1 - Tra il 1890 e il 1891 il piroscafo "Utopia" fu dotato di un nuovo propulsore a triplice espansione e sottoposto a lavori di ristrutturazione che diminuirono lo spazio destinato ai passeggeri di cabina (da questo momento ne poteva imbarcare solo 45 di prima classe in quanto la seconda fu del tutto abolita) e aumentarono quello destinato agli emigranti (ne poteva "ospitare" fino a 900).

2 - Ai soccorsi parteciparono gli equipaggi delle corazzate "Anson", "Rodney" e "Immortalité" e della nave da battaglia svedese "Freya". I marinai James Cotton e George Hales dell'"Immortalité" persero la vita durante le concitate fasi dei soccorsi perché la loro scialuppa fu scaraventata contro gli scogli dalla forza della tempesta. Nei giorni seguenti, i loro corpi furono sepolti con gli onori militari nel cimitero di Gibilterra.

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Il naufragio del piroscafo "Utopia"

La nave

L'affondamento del piroscafo Utopia Il piroscafo "Utopia" era una delle navi oceaniche della compagnia di navigazione britannica "Anchor Line". Insieme alle gemelle "Elysia" e "Alsatia" fu costruita a Glasgow nei cantieri navali della società "Robert Duncan & Co" nel 1874 e varata il 14 febbraio dello stesso anno. Fece il suo viaggio inaugurale sulla rotta tra Glasgow e New York partendo dal porto scozzese il 23 maggio del 1874.
La nave aveva lo scafo in ferro e una stazza lorda di 2371 tonnellate. Era lungo 350,2 piedi (110 m), largo 35,2 piedi (11 m) con un'altezza alla prua di 29,5 piedi (9 metri). Sul ponte di coperta spiccavano le sovrastrutture destinate ad ospitare i passeggeri di cabina, la plancia di comando, i due alberi e un alto fumaiolo. Lo scafo era mosso da un motore a vapore a doppio compound in grado di erogare fino a 678 cavalli che assicuravano alla nave una velocità massima di 13 nodi. In condizioni normali il piroscafo trasportava 120 passeggeri di prima classe, 60 di seconda classe e ben 600 emigranti (o un volume di merce equivalente).
Dopo aver navigato sulla rotta Glasgow-New York per quasi un anno l'"Utopia" venne destinato al collegamento tra la Gran Bretagna e l'India. Dal 1876 fu nuovamente trasferito per servire la tratta Londra-New York ma, all'orizzonte iniziava a profilarsi un nuovo ricco mercato da sfruttare: quello della grande emigrazione europea e italiana in particolare.
Per rendere più efficiente e remunerativo il trasporto degli emigranti, il piroscafo venne destinato dalla "Anchor Line" alle rotte mediterranee, dopo essere stato completamente ristrutturato nel 1890, per aumentarne la capienza e la velocità (1)

Il naufragio

La corazzata Anson Nel mar Mediterraneo la nave seguì la rotta che partendo da Trieste conduceva i passeggeri a New York. Gli scali intermedi nei porti di Napoli e di Genova, permettevano di imbarcare altri (numerosi) emigranti italiani mentre quello di Gibilterra serviva ad assicurare al piroscafo un porto "sicuro" dove reperire gli ultimi rifornimenti di viveri e carbone prima della traversata oceanica.
Come innumerevoli altre volte il piroscafo "Utopia" aveva lasciato il molo del porto di Trieste il 25 febbraio del 1891 alla volta degli Stati Uniti, meta agognata per la maggior parte di quelli che lasciavano il vecchio continente.
Terminata la tratta mediterranea, il pomeriggio del 17 marzo la nave fu in vista della baia di Gibilterra. La navigazione procedeva con difficoltà perché era in corso una violenta tempesta che sballottava lo scafo e non prometteva niente di buono. In queste condizioni, John McKeague, comandante della nave, decise dirigersi ugualmente verso il porto per assicurare al vascello un ancoraggio sicuro. Entrando nella baia di Gibilterra McKeague non si accorse che in rada c'erano diverse navi da guerra britanniche. Nel tragitto tra il capo Europa, la punta meridionale del promontorio del possedimento britannico, e il "Nuovo Molo" il comandante fece diminuire la velocità della nave e, mentre questa si stava addentrando nella baia si rese conto con disappunto che l'ormeggio a cui abitualmente attraccava il suo vapore era occupato dalle corazzate Hms “Anson" e Hms "Rodney". Decise di attraversare il braccio di mare davanti ai due vascelli della Royal Navy ma in quel momento, secondo quanto riferì alla commissione di inchiesta il comandante, fu abbagliato dal faro della corazzata "Anson" che scandagliava il porto di Gibilterra durante la burrasca.

Questo contrattempo non gli permise di calcolare con esattezza la distanza tra l'"Utopia" e la nave da guerra. Ritenendo che fosse maggiore del reale proseguì con la manovra ma, complice il vento di burrasca e la forza della corrente il piroscafo scarrocciò verso la prua della "Anson" finendo con lo scafo contro il rostro sommerso della corazzata britannica. Secondo il terzo ufficiale dell'"Utopia" lo speronamento avvenne alle 6,36 p.m. Immediatamente si aprì una falla larga circa 16 piedi e l'acqua iniziò a penetrare nelle stive. Il comandante McKeague pensò di far arenare il piroscafo ma nel frattempo i fuochisti (o l'ufficiale di macchina) avevano spento le caldaie per evitare che queste esplodessero appena raggiunte dall'acqua di mare. Impossibilitato a manovrare McKeague diede l'ordine di calare le scialuppe di salvataggio ma l'inclinazione dello scafo, sbandato a dritta di circa 70 gradi, non permise neanche questa manovra e ai passeggeri non restò che affidarsi alla sorte e ai propri mezzi. Il piroscafo affondò in meno di venti minuti adagiandosi sul fondale sabbioso della baia di Gibilterra, portando con se centinaia di passeggeri rimasti intrappolati sottocoperta.
Nel naufragio persero la vita o risultarono dispersi 562 tra emigranti e membri dell'equipaggio. I pochi che si salvarono vi riuscirono perché rimasero aggrappati agli alberi del vapore, rimasti fuori dall'acqua, o perché soccorsi dal coraggio dei marinai delle navi da guerra presenti nel porto che misero in mare le proprie scialuppe di salvataggio (2).
La cruda contabilità della tragedia ci dice che 318 persone scamparono al naufragio. Tra di loro c'erano 290 emigranti di terza classe, due passeggeri di prima e ventisei membri dell'equipaggio. Tutti gli altri seguirono la sorte della nave: nei giorni seguenti alcuni palombari della Royal Navy si calarono sul relitto dell'"Utopia" e riportarono la testimonianza di scene terribili. Le centinaia di corpi dei passeggeri rimasti intrappolati nella stiva "erano così intrecciati l'uno all'altro che formavano un unico ammasso difficile da districare".

L'inchiesta

Il relitto dell'Utopia Il giorno seguente il naufragio il comandante dell'"ss Utopia"' John McKeague venne imprigionato dalle autorità di Gibilterra ma fu subito rimesso in libertà in seguito al pagamento di una cauzione di 480 sterline. Il 23 marzo si riunì, per la prima volta, la corte del Tribunale marittimo presieduta da Charles Cavendish Boyle, comandante del porto di Gibilterra, supportato dai comandanti delle navi da guerra in rada e da personale civile del governatorato. Dopo aver preso atto delle testimonianze del comandante McKeague e dei suoi ufficiali sopravvissuti al naufragio, furono ascoltati, in qualità di testimoni, anche alcuni ufficiali delle navi da battaglia Hms "Anson", Hms "Immortalité" e Hms "Camperdown". Il 24 marzo la corte emise il verdetto: il comandante McKeague fu ritenuto "responsabile di un grave errore di giudizio a causa del quale la sua nave è affondata e c'è stata la perdita di vite umane". Secondo la corte il comandante dell'"Utopia" non aveva ben valutato la presenza di altre navi all'interno del porto e aveva ordinato una manovra errata facendo disincagliare la sua nave dal rostro di prua della corazzata "Anson".
Il giorno seguente (era il 25 marzo) la corte del tribunale marittimo di Gibilterra tornò a riunirsi nuovamente per ascoltare altri due testimoni (si trattava di due passeggeri italiani che non aggiunsero nulla di nuovo alla ricostruzione dei fatti) e le osservazioni della difesa. Dopo essersi riuniti in consiglio i membri della corte decisero che rimaneva valida la sentenza emessa il giorno precedente e ritenevano, altresì non necessario, ritirare il brevetto di comandante a John McKeague.
In questo modo piuttosto sbrigativo la vicenda giudiziaria relativa al naufragio dell'"Utopia" ebbe termine ma lo scontro giudiziario si protrasse in sede civile: si dovevano stabilire i risarcimenti ai familiari delle vittime del naufragio e di chi fossero gli oneri occorrenti per la rimozione del relitto che rappresentava un grave pericolo per la navigazione nella baia di Gibilterra. La vicenda relativa ai risarcimenti si trascinò per mesi anche con scontri giudiziari assai violenti. Le difficoltà si ripercossero anche in sede politica facendo giungere i due paesi (il Regno d'Italia e l'Impero britannico) ad un passo dalla rottura diplomatica.
Dopo alcuni mesi dal naufragio lo scafo del piroscafo affondato fu recuperato dalla società "Anchor Line" e rimorchiato in Scozia, lungo le rive del fiume Clyde, con l'intenzione di renderlo di nuovo atto alla navigazione. In realtà il relitto dell'"Utopia rimase abbandonato per anni fino a quando, nel 1900, non fu venduto e smantellato per recuperare il metallo dello scafo.

Bibliografia

Lloyd' Register 1889: "Lloyd' Register of British and Foreign Shipping". Londra 1889.
Board of Trade 1891: "Board of Trade Wreck Report for 'Utopia' and Anson (HMS)". No. 4276, pp. 1–5.
Valentini 2013: M. Valentini, "Il naufragio dell'Utopia. Il Titanic degli abruzzesi dimenticati - 17 marzo 1891". Tabula Fati ed., Chieti 2013.

Per approfondire

Gli atti processuali sul naufragio del piroscafo "Utopia". (Pdf-1.1 Mb)

Il piroscafo "Utopia" nel "Lloyd's Register of Shipping". (Consulta...)

The Raising of the "Utopia", "The Strand Magazine" (Pdf-13.1 Mb)

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