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Il generale Oreste Baratieri
Testo del c.d. "Telegramma della disfatta" spedito (il 3 marzo 1896) da Oreste Baratieri al Governo di Roma. Nel testo, redatto dal generale immediatamente dopo la sconfitta subita ad Adua dalle truppe coloniali da lui comandate, l'alto ufficiale cerca di creare la sua linea difensiva accusando (in modo del tutto errato) i soldati italiani di codardia.

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Telegramma di Baratieri del 3 marzo 1896

Telegramma inviato dal generale Oreste Baratieri al Governo, la mattina del 3 marzo 1896.

"Sabato decisi azione contro posizioni avanzate scioani verso Adua, perciò avanzai con tre colonne comunicanti tra loro e una riserva generale.

Colonna destra: Dabormida, sei battaglioni bianchi, quattro batterie battaglione milizia.
Colonna centro: Arimondi, con cinque battaglioni bianchi, reparto indigeni, due batterie.
Colonna sinistra: Albertone, quattro battaglioni indigeni, quattro batterie.
Riserva: Ellena, sei battaglioni bianchi, uno indigeni, due batterie tiro rapido.

Le due colonne laterali dovevano percorrere le due strade che dalla posizione di Saria mettono nella conca di Adua. La centrale tenere collegamento per la strada di mezzo, sulla quale marciava pure la riserva. Partenza ore 21 profittando della luna. Obiettivo primo: occupazione a destra colle Rebbi Arieni, a sinistra colle Chidane Meret; questi colli per i quali passano le due strade parallele, sono separati da una roccia caratteristica a picco, monte Raio, ma le comunicazioni sono relativamente facili oltre essa, cioé a ovest e sono in vista tra loro.

Operazione si svolse come era prescritto. All'alba colli trovati sgombri vennero occupati più o meno contemporaneamente e io che mi ero avanzato fino al colle Rebbi Arieni, ne ricevevo avviso. Frattempo, ore 7, avendo notato verso sinistra, oltre colle Chidane Meret uno schioppettio piuttosto vivace, in direzione di Adua, feci avanzare di poco la colonna Dabormida e prendere posizione verso Mariam Sciauitù, per essere meglio in grado di appoggiare brigata Albertone e cooperare con essa insieme. Chiamai brigata Arimondi sul colle Rebbi Arieni. Poco dopo, ore 7.30 si intese cannone che tirava in direzione di Abba Garima ad una distanza da noi di forse cinque chilometri. La colonna di sinistra era impegnata ma assai più innanzi del prescritto.
Infatti un biglietto di Albertone ponevami subito corrente situazione, col dirmi che battaglione Turitto inviato dal colle in direzione verso Adua si era fortemente impegnato e che egli impegnava tutte le sue forze per disimpegnarlo.
Allora io ordinai alla brigata Arimondi di coronare prima coi bersaglieri poi col resto una altura antistante al colle Chidane Meret per sostenere Albertone e feci pure avanzare le due batterie a tiro rapido. Frattempo il combattimento continuava sulla cresta verso Adua assai intenso. Inviai ordini a Dabormida di appoggiare verso sinistra e di sostenere più direttamente Albertone. Ignoro se l'ordine sia giunto a destinazione. Grosse torme nemiche a destra e a sinistra sboccavano sulla cresta e costringevano la brigata Albertone a ripiegare dapprima ordinatamente; vi fu un momento di sosta; anzi da parte degli indigeni un accenno all'avanzata che io credetti attribuire alla brigata Dabormida i cui movimenti mi erano nascosti da un monte.
Frattanto le batterie a tiro rapido potevano aprire il fuoco sopra nemici a grandi frotte discendenti dalla cresta. Albertone ritirossi sotto posizione occupata da Arimondi che scende aspra e spinosa sul colle. Per rinforzare la quale venne pure battaglione Galliano già assegnato riserva. Ma sebbene il fuoco nemico fosse assai poco efficace, sebbene posizioni nostre fossero buone e dominanti, truppe si lasciarono impressionare da gruppi nemici che profittando angoli morti si riunivano e cercavano aggirarci: un gruppo che si era annidato sul monte indusse a rapido ripiegamento due battaglioni bersaglieri mentre anche i battaglioni del reggimento Brusati abbandonarono posizioni; anche battaglioni alpini della riserva non erano più in grado di opporre resistenza e venivano travolti dai fuggiaschi man mano che si presentavano.

I nemici frattanto con molta audacia salivano alla posizione e penetravano nelle nostre file sparando quasi a bruciapelo sugli ufficiali. Allora non valse nessun ritegno, nessun ordine per ritirata successiva. Invano ufficiali cercavano trattenere soldati su qualcuna delle successive posizioni, perché nemici irrompenti e pochi cavalieri scioani scorrazzanti in basso bastarono a travolgere tutto. Allora cominciarono le vere perdite; soldati come pazzi gettavano fucili e munizioni per l'idea che se presi senza armi non sarebbero stati evirati, e quasi tutti gettarono viveri e mantelline. Invano io col generale Ellena, con i colonnelli Stevani e Brusati e Valenzano cercammo dirigere la corrente verso la sua base Saurià, tutti volgevano verso nord per la via più larga. A notte fermammo e cercammo di ordinare alla meglio una ritirata ma per un equivoco facile per quei sentieri la colonna si divise. Gli uni con i colonnelli Brusati e Stevani andarono verso Mai Haini, gli altri con me, Ellena, Valenzano vennero ad Adi Caièh. Non ho notizia della brigata Dabormida né dei generali Arimonti e Albertone: corrono voci più contrarie né posso farmi un concetto della gravità del disastro ma vedo impossibile riorganizzare battaglioni bianchi che hanno combattuto.
Truppe indigene hanno perso assai, sono disordinate e il loro morale deve essere scosso contegno bianchi, e tutti, ribelli e nemici interni, hanno ripreso animo. Parmi molto pericoloso ordinare sgombro forte Adigrat circondato dai ribelli con forte presidio invincibile. Stamane intendo andare Sagaineti-Asmara. Frattanto Lamberti che sarà domattina Asmara, tiene governo colonia e corrisponde con ministero".

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